Scambio Giovanile“The faces of fashion” organizzato nell’ambito del Programma Europeo Erasmus+ Kaunas - Lituania dal 23 settembre al 01 ottobre 2025 promosso da Global Citizens’ Academy.
Durante questo progetto abbiamo lavorato sul tema “The Faces of Fashion”, cioè le diverse facce del mondo della moda. Ci siamo resi conto che dietro a quello che compriamo ci sono tantissimi aspetti che spesso ignoriamo. Alcuni positivi, ma soprattutto tanti negativi, soprattutto quando si parla di fast fashion.
Abbiamo iniziato riflettendo su cosa significa davvero fast fashion: produzione veloce, prezzi bassi, moda che cambia ogni mese, ma dietro c’è sfruttamento, inquinamento, condizioni disumane e un impatto enorme sul pianeta. Poi lo abbiamo confrontato con lo slow fashion, che punta sulla qualità, sulla sostenibilità, sul rispetto dei lavoratori e dell’ambiente.
Durante il progetto abbiamo fatto diversi dibattiti, attività pratiche e discussioni anche abbastanza intense. Ci siamo accorti che, senza pensarci, continuiamo ad alimentare un sistema che sfrutta persone, inquina e distrugge risorse naturali solo per farci comprare sempre di più e sempre più velocemente. Una delle attività che mi ha colpito di più è stata quella della “divisione dei soldi”. Ogni coppia rappresentava una parte della catena produttiva della moda e, in ordine come avviene nella realtà, c’erano i proprietari del negozio (store owners / resellers), poi chi si occupa della distribuzione e delle consegne (delivery / logistics), l’azienda che produce (manufacturing company), il reparto marketing e ricerca (marketing & research), chi materialmente cuce i vestiti (garment workers) e infine chi raccoglie il cotone (cotton pickers).
Avevamo 100 monete da dividere tra tutti e ognuno doveva giustificare la propria “richiesta”. All’inizio, quasi senza pensarci,
abbiamo dato tantissimi soldi ai ruoli alti e pochissimo ai lavoratori, quasi niente a chi raccoglieva il cotone. Poi ci siamo fermati, abbiamo guardato il risultato e abbiamo capito che la divisione era completamente ingiusta. A quel punto abbiamo provato a ridistribuire i soldi in modo più equo, e questo momento ci ha fatto davvero riflettere, perché abbiamo visto con i nostri occhi quanto sia sbilanciato questo sistema nella realtà.
Un’altra attività importante è stata quella sulle campagne di greenwashing. Prima abbiamo studiato cosa significa davvero questo termine e poi abbiamo creato video finti di aziende che provano a sembrare “green” solo per marketing, senza fare nulla di concreto. La cosa incredibile è che abbiamo scoperto che tantissime aziende famose, anche quelle che pensavamo sostenibili, hanno usato o usano ancora strategie di greenwashing.
Abbiamo anche parlato di casi reali e molto gravi, come il crollo del Rana Plaza in Bangladesh, dove sono morte più di mille persone che lavoravano in condizioni terribili per produrre vestiti a basso costo. Questo ci ha fatto capire che dietro una maglietta da 5 euro ci possono essere vite sacrificate, famiglie distrutte e un sistema completamente sbagliato. Non è solo un problema economico: è un problema umano e morale.
Alla fine del progetto abbiamo provato a immaginare cosa succederà tra 50 anni se continuiamo così. Ci sarà una montagna infinita di vestiti sintetici non riciclabili. Con il mio gruppo abbiamo quindi pensato a soluzioni creative, anche un po’ futuristiche, come usare il poliestere riciclato dentro i muri per creare isolamento termico. Abbiamo immaginato persino titoli di giornale del futuro legati a questa idea, cercando di vedere come il mondo potrebbe adattarsi a questo problema.
